Il Gioiello nel Rinascimento: l’arte orafa di una civiltà all’apice dello splendore culturale

Sandro Botticelli, dettaglio de La Primavera, Venere, 1482

Fin dai tempi del grande Giotto, a cui fu riconosciuto il merito di eguagliare in valore e maestria le opere degli antichi maestri greci e romani, si andò diffondendo in Italia il desiderio di far rinascere la magnifica arte del passato. L’antica Roma era stata per lungo tempo il centro del mondo civile, e nel cuore degli italiani ardeva intensamente il desiderio di far rifiorire una tradizione gloriosa, ispirandosi agli insegnamenti dei maestri. Ebbe così inizio il Rinascimento, una nuova era segnata da una grande rivoluzione artistica, destinata a diffondersi in tutta Europa. Quest’epoca di ineguagliabile splendore vide l’arte raggiungere la massima perfezione.

Agli inizi del Quattrocento, nacquero a Firenze, ricco centro mercantile, talenti come Brunelleschi, Donatello, Masaccio. Il Cinquecento fu poi il secolo di grandi artisti italiani come Michelangelo, Raffaello, Tiziano, Leonardo da Vinci, Benvenuto Cellini. Come osserva lo storico Ernst H. Gombrich, non ci è dato sapere come sia possibile che così tanti maestri siano sorti nello stesso periodo, dando vita ad un’impareggiabile magnificenza artistica. “Non si può spiegare la nascita del genio. È meglio limitarsi a goderne”.

Proprio in Italia, in un periodo di tale prosperità artistica ed intellettuale, ebbe inizio la storia del gioiello rinascimentale. In particolare, nella seconda metà del Quattrocento, quando il resto dell’Europa era ancora legato alle convenzioni del Gotico, fiorì in Italia un’arte orafa tra le più creative al mondo. Numerosi erano i materiali utilizzati per la realizzazione di splendidi gioielli: oro, argento, pietre preziose, perle, pelle, cera, seta e lino. Poiché, purtroppo, solo una piccola parte di tali meraviglie è sopravvissuta fino a noi, il miglior modo per investigare la storia del gioiello rinascimentale consiste nell’osservare i ritratti della nobiltà dell’epoca. Le classi dominanti amavano infatti farsi raffigurare mentre indossavano lussuosi gioielli per ostentare la propria ricchezza e il proprio elevato rango sociale, e per esprimere valori e significati di varia natura.

Testimonianza del gioiello rinascimentale e della sua simbologia giunge a noi dal celebre pittore e architetto italiano Raffaello Sanzio. Nel suo dipinto Ritratto di Maddalena Doni, la gentildonna raffigurata, appartenente all’alta borghesia fiorentina, indossa abiti realizzati con stoffe pregiate, e preziosi gioielli, tra cui spicca il meraviglioso pendente in oro, su cui poggiano un rubino, uno smeraldo, uno zaffiro e una perla, elementi che simboleggiano la purezza e la fedeltà coniugale. Osservando attentamente il gioiello, si può riconoscere la figura di un piccolo unicorno che avvolge lo smeraldo. Se l’animale è simbolo di castità, allo stesso tempo lo smeraldo, gemma di Venere, dea dell’eros, rappresenta un augurio di fertilità.

Raffaello Sanzio, Ritratto di Maddalena Doni, 1506

I gioielli potevano rappresentare le qualità intellettuali di chi li indossava. Emblema di tale simbologia è un altro affascinante dipinto a opera di Raffaello, Ritratto di Elisabetta Gonzaga. Moglie di Guidobaldo da Montefeltro, duca di Urbino, Elisabetta non era considerata soltanto l’ideale di bellezza del suo tempo, ma anche una donna di grande cultura e ingegno. È interessante soffermarsi sul sublime gioiello che indossa sulla fronte, a forma di scorpione: da un lato, l’animale rappresenta la virtù in opposizione alla violenza (la leggenda narra che lo scorpione si suicidi quando si trova in pericolo), dall’altro, il diamante, posto in tal posizione, rappresenta l’acutezza dell’intelletto della nobildonna.

Raffaello Sanzio, Ritratto di Elisabetta Gonzaga, 1505

Altrettanto affascinante è il Ritratto ideale di donna, a opera del leggendario pittore italiano Sandro Botticelli, noto in tutto il mondo per aver creato alcune delle immagini femminili più incantevoli del Rinascimento. Un interessante aneddoto narra che il suo stesso soprannome rimandi proprio all’arte orafa. Infatti, secondo il contemporaneo Giorgio Vasari, il soprannome di Alessandro Filipepi sarebbe derivato da tal Botticello, orefice presso la cui bottega egli si sarebbe formato. Nel ritratto, i gioielli della giovane, identificata con Simonetta Vespucci, musa dell’artista, sono rappresentati con straordinaria precisione. Un gran numero di bellissime perle adorna la chioma della gentildonna, che indossa al collo un cammeo finemente riprodotto, emblema della diffusa passione per gli antichi cammei romani, oggetti di grande interesse per gli umanisti a quel tempo. L’Italia rinascimentale fu maestra nella realizzazione di cammei ispirati all’antichità.

Sandro Botticelli, Ritratto ideale di donna, 1480-1490

“Le opere del passato sono come i fiori da cui le api traggono il nettare per fare il miele”, scrisse il poeta Petrarca. La riscoperta dei tesori classici e la reviviscenza della tradizione artistica antica in ogni sua forma, è testimoniata anche da un altro, straordinario dipinto di Sandro Botticelli: La Primavera. L’opera, trionfo di grazia e bellezza, si trovava nella dimora di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, cugino di Lorenzo il Magnifico. Sono rappresentate nove figure della mitologia classica, tra cui, al centro, Venere. La dea indossa una collana che richiama, per la sua forma, un antico gioiello, indossato dalle donne romane come amuleto di fertilità: la lunula. Le tre Grazie, ancelle di Venere, indossano invece delle meravigliose spille, perfetto esempio di gioiello rinascimentale. Esse sono composte da foglie d’oro smaltate, perle e pietre preziose.

Sandro Botticelli, dettaglio de La Primavera, tre Grazie, 1482

Certamente, le corti di nobili famiglie come i Medici a Firenze, gli Sforza a Milano, e gli Este a Ferrara, dove venivano accolti i migliori artisti e letterati, favorirono un grandioso sviluppo artistico. “Fu veramente per le persone d’ingegno un secol d’oro” scrisse Giorgio Vasari nel 1568. La moda del tempo era dettata da donne influenti come Isabella d’Este, considerata da molti una vera e propria “influencer ante litteram”, ed Eleonora Di Toledo, icona di eleganza e grande amante delle perle, come testimoniato dall’opera di Agnolo Bronzino che la raffigura insieme al figlio Giovanni de’ Medici mentre ne indossa un gran numero, come simbolo di purezza.

Agnolo Bronzino, Ritratto di Eleonora di Toledo col figlio Giovanni, 1545

Non solo in Italia, ma nelle corti di tutta Europa si diffuse una passione sempre maggiore per gioielli di eccezionale bellezza. In particolare, grazie alle scoperte nel Nuovo Mondo, divennero sempre più di moda nelle classi dominanti europee oro, diamanti, perle e pietre preziose. Cristoforo Colombo ne trovò ingenti risorse al largo della costa del Venezuela durante il suo viaggio in America nel 1498. Intorno al 1500, ne furono scovate enormi quantità nei templi e nei palazzi dell’Impero azteco, distrutti da Hernàn Cortès e dai suoi uomini. La Spagna ottenne il primato nel commercio dell’oro.

In Inghilterra, i gioielli venivano ostentati con grande abbondanza in riferimento all’immenso splendore del regno. Enrico VIII, alla sua morte possedeva novantanove anelli di diamanti e un patrimonio sconfinato di gioielli di altissimo valore. Elisabetta I, figlia di Enrico, è sempre raffigurata mentre indossa innumerevoli perle e diamanti. Il popolo raramente possedeva ornamenti preziosi. Tuttavia, l’importanza sociale e affettiva dei gioielli era universalmente riconosciuta.

Hans Holbein il Giovane, Ritratto di Enrico VIII, 1537

In Francia, Francesco I, affascinato dal Rinascimento italiano, invitò alla sua corte alcuni dei migliori artisti tra cui Leonardo da Vinci, Benvenuto Cellini e Matteo del Nassaro. Egli nutriva una forte passione per i gioielli per cappelli, o enseignes, uno dei gioielli più caratteristici del Rinascimento, di origine italiana e risalente circa alla metà del Quattrocento. La Francia non ebbe eguali nella produzione di miniature in splendidi medaglioni, che potevano avere valore sia celebrativo, sia sentimentale.

Jean Clouet, Ritratto di Francesco I di Francia, 1527

Particolarmente interessante è la figura dell’artista artigiano nel Rinascimento, e la rivalutazione della sua condizione sociale. Se, nell’età classica, l’opera delle mani era in qualche modo considerata umile, meno lodevole rispetto all’impiego dell’intelletto, uomini come Leonardo da Vinci e Benvenuto Cellini dimostrarono tutto il contrario. Durante il Quattrocento e Cinquecento, l’artista divenne un vero e proprio Maestro, una figura nobilissima, “che non poteva raggiungere la fama e la gloria senza esplorare i misteri della natura e ricercare le leggi segrete dell’universo”, come scrive Gombrich. Egli non era più solamente un proprietario di bottega, ma un uomo di grande sapienza e talento, in grado di accrescere con la propria arte la meraviglia e l’armonia del mondo.

Al giorno d’oggi, gli eccellenti talenti artistici che più di chiunque altro incarnano la bellezza e la forza della nostra tradizione (la nostra più grande ricchezza e la nostra più grande maestra) si trovano ad affrontare quotidianamente difficoltà e minacce, e la loro voce, purtroppo, è spesso inascoltata. Gli artisti artigiani del nostro tempo devono tornare ad essere centrali, come i grandi del passato. Insieme, dobbiamo ridare grande dignità all’arte, all’artigianalità, alla nostra identità. È ora, più che mai, che dobbiamo ispirarci all’ideale profondo di rinascita, e di amore per il passato, che hanno segnato l’apice dello splendore culturale della nostra civiltà: il Rinascimento.

Sandro Botticelli, Nascita di Venere, 1485